sabato 21 marzo 2009

Occhiblù

Metà agosto, mezza notte e un caldo da mischiare i pensieri fra loro, confusi ed indistinti.
Lei apre gli occhi, buio di luna, e si volta verso di lui, che ha il respiro profondo del sonno.
Si alza dal letto infastidita di essere desta, nel mondo, ancora, e avvolta dal leggerissimo lenzuolo che profuma di sapone, si trascina fino al balcone e ferma le tende grigie alla parete, in modo da permettere al blu della notte di colorare le pareti della stanza.
Vorrebbe tornare a riposare, ma lo sa che ormai è inutile, i sogni son volati via.
Si siede, davanti lo specchio e cerca di abituarsi all'oscurità; pian piano riconosce gli oggetti nella stanza, riflessi nello specchio, come lei.
Si allunga per arrivare all'interruttore, e la luce per un attimo le aggredisce la vista, eppure la lampada rischiara con una luce tanto tenue da far quasi ombra.
Stringe un lembo del lenzuolo in cui è aggrovigliata e preme il pugno sul cuore.
Guarda lo specchio ma ancora non si guarda, attraverso.
Vede lo scrittoio, alle sue spalle, dove da settimane mucchi di fogli sono rimasti addormentati lì, forse da dicembre. E vede il primo cassetto al centro, dove custodisce le sue paure, o i suoi racconti, mai finiti.
Vede scaffali pieni di libri mai letti, polverosi, che non appartengono a nessuno.
Vede l'angolo di una cornice, che lei sa essere del suo quadro appeso, una luna tonda fredda sulla tela, nel cielo, allo specchio.
E poi dalla linea tonda della luna dipinta scivola lo sguardo sulla sua spalla nuda, e risale sul collo, attenta passa tra i capelli biondi, accarezza le guance, e arriva agli occhi, e si ferisce. Da piccola la chiamavano occhiblù, ma ora sono grigioblù, mischiati col freddo dell'anima.
E niente la lega più al suo passato.
Legge nella sua immagine riflessa un dolore profondo, senza nome.
E tardi, e la luna, doppia nello specchio, le ricorda il loro tacito accordo antico.
Ma lei non è riuscita a mantenere la promessa di esistere; ancora sopravvive, ancora insegue il mondo che è sempre un passo oltre, e non intende aspettarla. Chissà forse domani.
Spegne la luce e si alza per ritornare al suo letto, dove lui riposa; fa attenzione a non svegliarlo; ma lui con la voce immersa nel sonno le chiede "che c'è?".
E lei non risponde, vuole che dorma. Lui la prende fra le sue braccia e ritorna a sognare.
Una lacrima scivola, giù, nel cuore.
Chissà, forse domani.

sabato 24 gennaio 2009

La Dimensione Nascosta

Oggi mi sono svegliata presto e mi sono vestita in fretta.
Scendo le scale e il soggiorno è ancora immerso nell'ombra. Sento un tintinnio..il campanellino della mia Salomé, dolce gattina mansueta, corre su per le scale: scommetto che la solinga felina si accocolerà nel letto ancora in disordine.
Mi avvicino alla finestra e la strada sembra fredda, deserta, sconosciuta. Mi sembra di vedere qualcosa fuori che si muove nell'oscurità, ma scaccio via il pensiero, è solo un'ombra.
L'alba autunnale tarda ad arrivare, eppure giunge ogni giorno..ma quando se ne va sembra non debba più tornare.
Rimango incantata a guardare dalla finestra, ma ciò che prima sembrava un quadro perfetto ora è solo una miscellanea di colori che non riconosco.
E penso a quella stella nera nel cielo, unico cromatismo familiare, quella stella che si eclissa e si nasconde da me quando si sente vulnerabile.
Le cicatrici sanguinano e niente cicatrizza, niente.
Era tutta un'illusione e l'estate è rimasta lì a marcire nel cuore.
E spunta la luce, crudele e fredda, senza preavviso alcuno, anche se l'aspettavo da tanto.
Provo ad iniziare una nuova giornata.
Mi avvolgo nel mio trench nero ed apro la porta di casa, per un nuovo pallido inizio.
E nel lasso di tempo che separa il dentro dal fuori, la casa dal mondo, me da te, mentre chiudo la porta vedo i miei pensieri..
E all’improvviso mi rendo conto che ho perso una, o forse due dimensioni.
Una è la profondità, ovvero il cuore.
L’altra è la quarta dimensione, quella nascosta, forse l’anima.
Il tempo mi mangia viva.
E lo spazio è una linea piatta ed incolore.
Non c’è la profondità, e infatti non riesco a guardarmi indietro, perché se lo faccio perdo il respiro e la vita si cristallizza in un acuto dolore.
Sto vivendo un attimo che ha parvenza d’eterno..ed è un momento terribile, un intervallo là dove la lancetta di un secondo scatta impietosa graffiando l’anima.
La notte mi nasconde e si porta vià tutto ciò che c'è di peggio.
Quanto male ho fatto, e non c’è rimedio.
Non è vero che non si è se stessi quando si sbaglia, che si ha la testa altrove.
Non è vero.
Io sono io. Anche adesso che sono un mostro.
Per sopravvivere a me stessa lascio nel buio tutto il peggio di me, che ogni volta mi appare più minaccioso e privo d’identità.
I miei peggiori incubi non hanno un volto.
E mi sento d’essere un disegno fatto con disattenzione, che sembra avere una profondità che in realtà non ha.
E un mistero che è stato cancellato via.